domenica 27 gennaio 2008

APPENA FUORI DALLA PISTA (di Andrea Selva)

Riporto di seguito un articolo che ho letto qualche giorno fa sul Trentino. Vi invito a leggerlo con attenzione, non è lungo ne complicato ed è condito di sottile ironia. Trovo descriva molto bene il "paradiso delle piste da sci", ed il modo frettoloso e distratto con cui molti "turisti" e sciatori si approcciano alla montagna. La chiassosa pretesa della "comodità" e del "comfort ovunque", anzichè la ricerca di emozioni genuine e della felicità interiore, ottenute attraverso la fatica e l'esplorazione della natura (e di se stessi).

Commenti e riflessioni sono i benvenuti,

Buona lettura.

APPENA FUORI DALLA PISTA (di Andrea Selva)

"Lo sci è uno sport complicato. Se non c’è la neve storciamo il naso perché scendere sulla neve artificiale – con le margherite a bordo pista – non è la stessa cosa. Quando nevica storciamo il naso perché non si vede più in là della punta degli sci e le piste non sono lisce come vorremmo. Così attendiamo per settimane il giorno giusto, con la neve fresca e il sole in cielo. Oggi è quel giorno e per di più è domenica, così ci sveglieremo presto – prima che arrivino i turisti con l’autostrada – e giunti in quota troveremo il parcheggio già mezzo pieno, con quell’odore di smog che i nostri figli hanno imparato a conoscere; scenderanno dall’auto, respireranno l’alito fetido di un pullman cecoslovacco e sorrideranno perché sentiranno che l’aria buona di montagna non è poi così diversa da quella della città.

Quindi ci metteremo in coda allo sportello per acquistare lo skipass magnetico, sapendo che se proveremo a venderlo a metà giornata (come facevamo una volta) rischieremo di trovarci in tribunale. Quando la signorina ci chiederà se vogliamo pagare anche la polizza assicurativa saremo tentati di dire “sì”, ricordandoci di quel tale finito in rovina per aver investito un avvocato rompendogli una gamba. Poi saliremo sugli impianti (seguendo alla lettera il regolamento, altrimenti verremo richiamati all’ordine) e ci ritroveremo in pista attenti a dare la precedenza allo sciatore a valle, rallentando prima degli incroci e fermandoci solo a bordo pista come prevede il decalogo del buon sciatore.

Che nessuno del gruppo provi a dare lezioni al collega d’ufficio perché qualche maestro potrebbe vederlo e denunciarlo per esercizio abusivo di professione. Incontreremo i cartelli che ci vietano di scendere fuori pista e anche volendo sarebbe difficile proseguire oltre perché ci sono reti rosse dappertutto e saremo terrorizzati solo dall’idea di affondare lo scarpone nella neve vergine (dove non è nemmeno passato un gatto delle nevi!) senza avere l’Arva nella tasca della giacca e una pala piegabile infilata nello zaino. Ogni tanto qualcuno alzerà lo sguardo verso il cielo e vedrà l’elicottero del pronto soccorso che non smette mai di volare per portare i feriti dalle piste all’ospedale.

A metà giornata – dopo mezz’ora di coda a ginocchia piegate, con le gambe flesse negli scarponi – troveremo buono persino il cibo del self service che ci ricorderà, chissà perché, quello della mensa aziendale. Per consolarci ci concederemo un bombardino sperando di non trovare le forze dell’ordine pronte a misurarci il tasso alcolico con l’etilometro, come volevano fare in Alto Adige. Sempre meglio che a Cortina, dove i poliziotti l’anno scorso hanno sperimentato lo skivelox, pronti a dare le multe senza però togliere punti dalla patente.

Usciti dal ristorante da 200 posti cercheremo gli sci nuovi nell’enorme rastrelliera (sperando che non ce li abbiano fregati) e stanchi di attendere fuori dal bagno intasato ci avvieremo ai confini del comprensorio sciistico per trovare un albero libero e fare pipì. Sarà in quel momento che sentiremo sotto gli sci un rumore nuovo, che la neve battuta non è in grado nemmeno di imitare. Sentiremo farsi più lontani i ronzii delle seggiovie, fino a scomparire, e si farà da parte anche la musica sparata dagli altoparlanti del rifugio. Dopo aver sciato distrattamente su e giù dalle vette per chilometri scopriremo con stupore che nel manto immacolato può essere un’impresa ardua anche percorrere cinquanta metri. Ma quando saremo di fronte all’albero prescelto vedremo due tipi strani – un ragazzo ed una ragazza – con un paio di ciaspole ai piedi invece degli sci, tanto coraggiosi da avventurarsi sulla neve con un berretto di lana al posto del casco, lasciandosi dietro una fila di larghe impronte che si perdono nel bosco, su un pendio lieve che non induce valanghe. Li guarderemo dividersi un panino seduti l’uno accanto all’altra sulla panchetta di una baita, col viso rivolto al sole, gli occhi chiusi e le maniche del maglione rimboccate fino al gomito. In quel momento – scordandoci di quello che dovevamo fare in quell’angolo vicino alle piste, ma che sembra un altro mondo – penseremo, forse, che hanno ragione loro."

martedì 22 gennaio 2008

CIASPOLE IN VAL VENEGIA

Venerdì scorso, sfruttando la stupenda giornata e l'abbondante nevicata dei giorni precedenti, con Ale siamo andati a farci un giro con le ciaspole. Abbiamo scelto come meta la Val Venegia, incantevole valle ai piedi delle Pale di San Martino. Avevo voglia di rivedere il grandioso versante ovest del gruppo delle pale. Con la recente neve, poi, sapevo che la magnifica successione di pareti, canalini e campanili avrebbe assunto un aspetto ancora più imponente.
(Cimòn dela Pala e Vezzana dominano l'orizzonte)

(Nel bosco)

E' stata una scelta davvero azzeccata. Abbiamo goduto di un sole caldo e di una natura incontaminata, senza particolari preoccupazioni per le valanghe (In val Venegia il rischio valanghe è abbastanza limitato, data la distanza da ripidi pendii e la presenza di numerosi alberi).
(Ale fa la traccia sul pendio vergine che porta a malga venegia)

Vedere la natura vestita col manto invernale ha un effetto rilassante su tutto il corpo. La neve ha il potere di attutire i rumori tanto che, durante le soste per rifiatare, gli unici suoni che si potevano udire erano i sordi tonfi della neve che cadeva dagli alberi. La copertura nevosa poi smussa gli angoli e dona all'ambiente una "rotondità" rilassante anche per lo sguardo.
(Gli abeti coperti di neve)

Durante la camminata abbiamo visto una moltitudine di tracce di animali, lepri e camosci probabilmente in cerca di cibo. Nessuna traccia di uomini, dopo la prima malga.
(Finestra sul cimòn)

(La val Venegia si apre sul meraviglioso vesante sud delle pale)

Giornata entusiasmante, esperienza da ripetere.

giovedì 17 gennaio 2008

Ferrata Rio Secco (a capodanno)

Il 31 dicembre, giornata assolata e non troppo fredda, il mio amico Ale (detto Pacciani) mi ha invitato a ripercorrere la "ferrata rio secco", detta anche "ferrata del cadin".
L'avevo già fatta un paio di volte quando ero bambino, in compagnia di mio papà,..ma ne conservavo solo qualche ricordo.
L'uscita è stata molto piacevole. Mi ha permesso di rivedere posti che avevo già visto anni prima e mi sono tornate alla mente alcune delle sensazioni provate in passato.
L'ambiente è davvero suggestivo. La ferrata segue il vecchio letto di un rio (un rio secco, per l'appunto), superando delle balze inaspettate ed entrando in lisce gole nascoste. Ci si addentra in luoghi che sembrano fatati, lontani mille miglia dai rumori rombanti della vicina valle dell'Adige. Sentimenti e sensazioni difficilmente descrivibili. Chi non ha provato non può capire.
(Ale in una delle gole "nascoste". In questa è stata creata una serie di ometti di pietra.
Come piccoli gnomi e folletti sembrano vegliare sul bosco che li circonda.)

In genere non amo molto le ferrate..questa però ha un sapore particolare per me, anche perchè conserva ancora una certa dimensione avventurosa. Se si possiede un po' d'esperienza è infatti possibile effettuare delle piccole varianti, arrampicando per dei brevi tratti dove non c'è il cordino, fuori dalla "via". In questo modo la salita risulta più divertente e varia.
(Ale in una delle "varianti". L'effetto del flash sulla roccia levigata dall'acqua fa quasi sembrare
che ci sia della neve sul fondo della gola. In realtà non è così.)

(Ale di corsa, dopo un tratto attrezzato. Non abbiamo trascurato l'aspetto "sportivo", cercando
di forzare un po', dove consentito.)

Con Ale abbiamo chiuso l'anno 2007 all'insegna dell'arrampicata e dell'avventura..con l'augurio che nel 2008 le uscite in montagna siano numerose e soddisfacenti.



A presto!

lunedì 7 gennaio 2008

Via MON CHERI (inizia l'esplorazione in valle del Sarca)

Il 26 dicembre, per smaltire le pesantezze accumulate durante il natale, con il mio amico Max abbiamo deciso di lanciarci sulle placche zebrate, direttamente sotto il monte Brento. Abbiamo scelto di fare "Mon Cheri", 300 metri, una via tipica delle "zebrate", dove l'arrampicata di aderenza la fa da padrona. "Aderenza spietata", come la definisce (forse con un po' troppa d'enfasi) il Filippi nella sua bellissima guida.

Temperatura piuttosto rigida. A comando alternato abbiamo sfruttato le 4 ore in cui il sole riscalda la placconata delle zebrate per effettuare la salita.

Veramente favolosi i 5 tiri centrali della via..quelli in placca. Difficoltà fino al 6c, arrampicata davvero entusiasmante e divertente. Stupendo l'ultimo tiro in placca, su roccia bellissima e con chiodatura piuttosto severa.

Ecco alcune foto.

(Il sottoscritto in apertura su uno dei tiri centrali. Placca povera di appigli. Gioco d'equilibrio.)

(La favolosa lavagna dell'ultimo tiro della placconata.)

(Max in azione)

(Max apre l'ultimo tiro della via. Le difficoltà sono ormai superate.)

(Foto di rito)